Ansia

Quando c’è un figlio ansioso, tutto l’ambiente familiare è influenzato da questa situazione.
Nella nostra esperienza di psicoterapeuti, i genitori spesso assumono un atteggiamento accomodante nei confronti dell’ansia del loro figlio mettendo in atto comportamenti che hanno un effetto nel breve periodo.
In questo modo però il genitore partecipa attivamente all’ansia del bambino.
Tale risposta porta il bambino a dipendere dai genitori per regolare la propria ansia, con conseguente mantenimento dei sintomi:

  • un bimbo di dieci anni non vuole dormire nel suo letto da solo e pretende la presenza di uno dei suoi genitori,
  • una ragazza soffre di attacchi d’ansia e passa la maggior parte del suo tempo, compresi i pasti, chiusa nella sua stanza,
  • un adolescente ha un rituale di preparazione del materiale scolastico che coinvolge per un paio d’ore ogni sera tutta la famiglia,
  • un ragazzo rifiuta gli inviti a dormire dai suoi amici e costringe i propri genitori a giustificarlo,
  • una ragazza finge di avere sempre dolori muscolari per evitare di partecipare alle partite di calcio più importanti della propria squadra.

Come supportare un figlio, senza sostituirsi a lui? Come evitare di mettere in atto comportamenti iperprotettivi che non riducono i sintomi, ma al contrario attribuiscono all’ansia un potere totalizzante nei confronti di tutta la famiglia?

“Io e mio marito passavamo le serate a litigare con Eleonora. I suoi rituali di preparazione della cartella erano estenuanti. Pretendeva che noi rimanessimo in stanza con lei a controllare ogni singolo libro e quaderno. Poi, finito di preparare, svuotava nuovamente la cartella e ricominciava da capo. Alcune sere io ero troppo stanca e avvilita nel vederla così in preda alla sua ansia. Mi arrabbiavo, a volte anche la insultavo, uscivo dalla stanza ma non riuscivo a lasciarla in balia di se stessa e così rientravo, anche se la mia frustrazione e la mia rabbia erano evidenti. Inoltre quasi sempre questo portava me e mio marito a discutere, e le serate si concludevano spesso in questo modo.
Lavorando con gli psicoterapeuti abbiamo capito quanto fosse importante il nostro autocontrollo. Noi pretendevamo che lei smettesse di tenerci in scacco ogni sera, che capisse che il suo comportamento non aveva alcun senso. Abbiamo imparato a concentrarci sulle nostre reazioni, sul nostro autocontrollo e sulla capacità di resistere alle sue richieste.”

Anna, mamma di Eleonora (12 anni)

“Quando nostro figlio doveva affrontare una verifica o un’interrogazione a scuola stava sempre male: iniziava ad accusare forti dolori alla pancia, nausea e mal di testa. Anche se sapevamo che il suo malessere era legato alla preoccupazione di non aver studiato abbastanza, nonostante ottenesse sempre il massimo dei voti, io e mia moglie abbiamo scelto di tenerlo spesso a casa per evitare che stesse troppo male. Data la sua situazione, Fabio ha inizato un percorso di psicoterapia individuale, ma ci sembrava non fosse sufficiente. Le numerose assenze di Fabio ci hanno portato a riflettere sulla necessità di chiedere aiuto per noi genitori agli psicologi. Durante il percorso, ci siamo resi conto che lo stavamo proteggendo, ma non lo stavamo aiutando a gestire la sua ansia. Abbiamo così imparato a stargli vicino sostenendolo, senza assecondare tutte le sue richieste di rimanere a casa da scuola. Gradualmente Fabio ha imparato ad affrontare le sue difficoltà, fa molte meno assenze e accetta di prendere anche qualche voto più basso!”

Gianni, papà di Fabio (13 anni)

“Dopo il lockdown, mia figlia Anna ha iniziato a passare sempre più tempo chiusa in camera. La situazione è degenerata piano piano: ha cominciato a fare continue assenze a scuola, a mangiare in stanza, fino a non permetterci di entrare in camera. Io e mio marito eravamo molto preoccupati e abbiamo chiesto aiuto agli psicologi. Non è stato semplice all’inizio anche perché ci sentivamo completamente impotenti e preoccupati delle sue reazioni su un nostro possibile intervento: quando avevamo infatti tentato di entrare nella sua stanza, lei più volte aveva reagito violentemente aggredendoci e insultandoci.
Il percorso ci ha aiutato molto, abbiamo capito che dovevamo chiedere aiuto anche alle persone che ci conoscono e che avevano capito quanto stesse male Anna. Piano piano ci siamo sentiti più in grado di intervenire e di sostenere nostra figlia. Adesso possiamo entrare in camera sua, Anna ha ripreso ad andare a scuola e la situazione è sicuramente migliorata.”

Lucia, mamma di Anna (17 anni)

I principi clinici dell’NVR

I principi clinici dell’NVR si basano sulla pratica socio-politica della Resistenza Non Violenta, che persegue il raggiungimento di obiettivi attraverso metodi non violenti. NVR attinge agli approcci utilizzati da questa dottrina per sviluppare interventi mirati a contenere i comportamenti ansiosi, violenti o autodistruttivi messi in atto da bambini, adolescenti e giovani adulti.

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